Contenuto e finalità
La ricerca della FDG ha l’obiettivo ambizioso di liberare le persone con diabete dalla schiavitù delle iniezioni d’insulina, ripetute più volte durante il giorno, e dalla schiavitù dei controlli stringenti delle glicemie, della glicosilata, ecc.
Lo scopo è raggiunto facendo trasformare, definitivamente, alcune cellule del fegato in cellule produttrici d’insulina, mediante proteine prodotte da geni, recentemente identificati. Il progetto si basa sulla dimostrazione sperimentale che alcuni geni, inseriti nelle cellule epatiche, attivano il gene dell’insulina, che, in queste cellule, normalmente, non lo è.
I primi risultati importanti sono stati ottenuti trasferendo, mediante un trasportatore virale, il gene Pdx-1 nel fegato di topi diabetici. Nel fegato dei topi trattati in questo modo, i geni dell’insulina hanno prodotto insulina, e la glicemia è tornata normale, per tutta la durata dell’esperimento.
Risultati anche migliori sono stati ottenuti da altri ricercatori, che hanno utilizzato un altro trasportatore virale ed hanno trasferito, nelle cellule epatiche degli animali, altri geni: i geni NeuroD e betacellulina. Questi geni, come il gene Pdx-1, producono sostanze che attivano il gene dell’insulina.
Nel fegato degli animali trattati sono comparse cellule secernenti insulina e aggregati cellulari paragonabili alle isole pancreatiche. Le cellule secernenti insulina erano grandi, e localizzate generalmente presso i rami della vena porta, presenti nel fegato. Gli aggregati cellulari, paragonabili alle isole pancreatiche, erano localizzati, generalmente, sotto la capsula epatica.
Nei topi trattati la glicemia tornava normale, durante tutto il periodo dell’osservazione sperimentale, che fu di circa 120 giorni. Un’altra importante osservazione è che nel fegato di topi, resi diabetici mediante trattamento con la sola streptozotocina, compaiono cellule che producono insulina, anche senza alcun altro trattamento.
Questi risultati possono essere confrontati con quelli ottenuti da altri ricercatori che hanno osservato la trasformazione di cellule ovali “staminali”, presenti nel fegato di roditori adulti, in cellule che producono insulina, dopo esposizione ad alte concentrazioni di glucosio.
La spontanea, anche se temporanea, trasformazione d’alcune cellule epatiche in cellule che producono insulina, alla presenza di un’elevata concentrazione di glucosio, potrebbe servire ad interpretare l’ancora misterioso fenomeno della “luna di miele” che si osserva, qualche volta, agli esordi del diabete tipo I. I risultati di due recenti studi confermano la possibilità di stimolare cellule del fegato a secernere insulina.
Nel primo studio gli autori hanno osservato che l’attività del gene Pdx-1, nei topi diabetici, determina la trasformazione di una sottopopolazione di cellule epatiche in cellule simil-pancreatiche, capaci di produrre insulina durante tutto il periodo d’osservazione (8 mesi).
Tali cellule erano localizzate soprattutto a livello della vena centrale del fegato, determinando così un rilascio diretto dell’ormone nel circolo ematico. Nel secondo studio, cellule del fegato umano, prelevate da cadavere, sono state trattate con virus trasportatori del gene Pdx-1. Dopo questo trattamento, una buona percentuale (15-30%) di tali cellule ha cominciato a produrre insulina, a conservarla in granuli all’interno delle cellule e a secernerla in quantità variabili, corrispondenti alle variazioni della quantità di glucosio presente. In altre parole si sono trasformate in cellule pancreatiche.
Tali cellule in vitro hanno continuato a produrre insulina per prolungati periodi di tempo; inoltre, ed è questa la novità importante, quando tali cellule sono state impiantate sotto la capsula renale di topi diabetici, ne hanno ridotto sensibilmente l’iperglicemia per tutto il periodo dell’osservazione (60 giorni).
A conferma di ciò gli animali, ai quali erano rimosse le cellule umane prima impiantate, ritornavano ad uno stato diabetico grave. Gli studi sopra citati, nel loro insieme, rendono evidente che il fegato può essere considerato un tessuto che può potenzialmente trasformarsi in tessuto pancreatico, se è indotto a farlo da sostanze prodotte da geni specifici come Pdx-1, NeuroD e betacellulina. Non è possibile applicare all’uomo le tecniche sperimentali descritte, che utilizzano trasportatori virali per inserire alcuni geni nelle cellule epatiche. I virus possono diventare pericolosi. La sistemazione dei nuovi geni nelle cellule è troppo casuale, e la durata della loro attività troppo breve: sarebbe necessario ripetere questo trattamento a brevi intervalli di tempo.
Per queste ragioni abbiamo pensato che, per trasformare definitivamente alcune cellule epatiche in cellule pancreatiche, si potesse tentare di usare, al posto dei geni Pdx1, NeuroD, betacellulina, le sostanze che essi producono. La ricerca della FDG ha lo scopo di verificare se questo è possibile.

Fasi
La  ricerca  si  articola  in  una  serie  di  fasi  successive.
La  prima  è  la  produzione  biotecnologica  delle proteine    codificate  dai  geni    Pdx-1,  NeuroD  e  betacellulina.
La  seconda  è  la  verifica  dell’entrata  di queste proteine nelle cellule epatiche e della loro capacità d’indurre la produzione d’insulina.
In un primo tempo si useranno tecniche in vitro, in un secondo tempo, tecniche in vivo, sugli animali dei laboratori.
Poi sarà il turno dell’uomo.

24 gennaio 2009. La ricerca entra nella fase 2. Di seguito il comunicato del professor Casa.

La Federazione Diabete Giovanile (FDG) ha proposto l’uso di alcune “Proteine omeotiche per la cura del diabete mellito tipo 1 e del diabete mellito tipo 2 insulinotrattato”. Le proteine omeotiche prescelte, codificate dai geni Pdx1 e NeuroD, inducono le cellule epatiche a produrre insulina, che, in questo modo, sostituiscono le cellule insulari del pancreas, distrutte dal sistema immunitario.

La transdifferenziazione delle cellule epatiche in cellule IPC, serve a sostituire la funzione del pancreas, ed a sottrarre, conseguentemente, i giovani diabetici, alla necessità d’iniettarsi più volte il giorno l’insulina esogena, necessità che incide molto negativamente sulla qualità della loro esistenza E’ ora dimostrato che la somministrazione della proteina Pdx1, nei topi resi diabetici con la streptozotocina, è in grado di trasformare alcune cellule epatiche in cellule IPC (insulin producing cell). Le cellule IPC secernono insulina in quantità e tempi adeguati alla regolazione della glicemia. La proteina Pdx1 è anche in grado di stimolare la riproduzione di cellule betainsulari, negli animali resi diabetici dalla streptozotocina. Questo trattamento normalizza la glicemia dei topi diabetici.

Ci proponiamo ora di verficare se questo trattamento è efficace anche nei topi NOD, che non sono diabetici a causa di una sostanza tossica, com’è la streptozotocina, ma a causa di un processo autoimmune, simile a quello che avviene nell’uomo, nel diabete tipo uno. Ci proponiamo anche di verificare se, il trattamento congiunto con le due proteine, Pdx1 e NeuroD, è più efficace di quello con una sola delle due protoiene. E’ dimostrato che la proteina NeuroD induce alcune cellule dell’intestino a produrre insulina.

L’obiettivo delle nostre future, ulteriori ricerche è l’applicazione all’uomo di questi fondamentali risultati sperimentali. E’ necessario identificare il modo d’ottenere, nell’uomo, la permanente trasformazione delle cellule epatiche, e l’eventuale riattivazione del ciclo cellulare delle cellule betainsulari, senza stimolare, di nuovo, la reazione immunitaria. Si tratta anche di verificare, se, come sembra intuitivo, il nuovo trattamento proposto dalla FDG è in grado di controllare completamente le complicanze della malattia diabeitica. I risultati sinora raggiunti dimostrano che la terapia proposta dalla FDG ha eccellenti probabilità di determinare la definitiva guarigione del diabete insulinodipendente.

Domenico Casa

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